a cura di Padre Giuseppe Sinopoli |
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SOPPRESSIONE E RESURREZIONE del Convento dei Cappuccini di Chiaravalle Centrale (sec. XIX - XX)
PRESENTAZIONE
Ho accettato con piacere di accompagnare la pubblicazione di questo interessante volume, e per il rispetto che tutto il popolo cattolico da secoli deve ai Cappuccini, e per quello che si è meritato padre Giuseppe in particolare in un fecondo quarto di secolo di sacerdozio ed apostolato.
Né solo questo, che potrebbe sembrare limitativo; ma ho francamente apprezzato un lavoro che mostra assieme devozione al sacro abito monastico, entusiasmo per la storia e capacità di ricerca e di metodo. Padre Giuseppe ci dà un quadro di notevole interesse per la storia del suo Ordine, e agli occhi del grande pubblico, forse ancora di più importante per la vicenda delle comunità collinari delle Preserre calabresi.
Durante lunghi secoli medioevali e moderni i conventi furono, per le genti, intanto luce di Fede e di buoni esempi, e poi anche scuola, biblioteca, ospedale, farmacia, assistenza morale e materiale. Ed assolsero anche ad una funzione che appariva di meno all’osservatore superficiale, ma fu forse la più importante sotto l’aspetto culturale: quella di aprire delle grandi finestre sul mondo attraverso i legami che i monasteri avevano tra di loro e con le istituzioni ecclesiastiche e secolari, e con il frequente trasferimento di frati e monaci, che assicurava il ricambio non solo degli uomini, ma delle idee e delle informazioni.
Nel vasto panorama degli Ordini regolari, i Francescani, e tra questi soprattutto i Cappuccini, mostrano un particolare carisma, che viene loro dal Fondatore: egli, figlio di un mercante e vissuto a lungo in una vivace città, ben conosceva le esigenze spirituali e culturali del ceto cui apparteneva, e, più in generale, di un mondo che diveniva sempre più complesso, e che aveva bisogno di una religiosità adeguata a tempi nuovi. Diede alla Chiesa dei frati attivi e presenti all’interno dei centri urbani, vicini all’uomo concreto e quotidiano per estrazione sociale e per formazione mentale; diede al popolo una devozione più partecipata, attraverso il teatro sacro e il presepe; diede agli Italiani la via per pregare Iddio nella loro lingua vera.
Questa figura possente di operatore di storia troppo spesso svilita da intellettuali in preda a deliri estetizzanti o callidamente speranzosi che chi predica agli uccelli non predichi anche agli uomini e non li scuota dal loro sonno!; questo lucido profeta dell’avvenire; questo cantore della sola vera libertà che è dell’anima (leggiamo, senza forzate interpretazioni, il canto XI del Paradiso dantesco), san Francesco volle dunque che i suoi frati vivessero non solitari, ma accanto agli uomini e nei loro borghi, pronti a guidarli e servirli.
Ecco dunque sorgere, nel fervore della Controriforma, anche il convento di Chiaravalle, presto uno dei più segnalati della Provincia cappuccina e dell’intero Ordine. Ma ecco la furia giacobina, che, sotto l’occupazione del francese Gioacchino Murat, devasta le proprietà ecclesiastiche per venderle di nome «a tutti», in realtà a pochissimi che le acquistano in aste sospette per cifre irrisorie, e nasce lo sterile e spocchioso latifondo. Bisogna attendere quasi mezzo secolo, perché il Governo di Ferdinando II di Borbone restituisca a Chiaravalle il convento e la presenza benefica dei Cappuccini.
Un’altra soppressione, dopo il 1860, ad opera dello Stato unitario, allora dichiaratamente nemico se non della religione, certo della Chiesa e tanto più degli Ordini regolari. Ma la «italietta» postrisorgimentale non aveva la feroce serietà dei giacobini e napoleonidi, e con un simpatico espediente la legge eversiva verrà semplicemente aggirata I Padri sono ancora a Chiaravalle, e speriamo ci restino per sempre.
Padre Giuseppe Sinopoli ci racconta queste vicende con gravità e gusto assieme, facendo tesoro di documenti finora dimenticati, e che legge ed interpreta con cura. Il documento infatti è necessario, ma non parla da sé senza l’intelligenza dello storico.
Il pregevole volume si correda di un’interessante iconografia, con alcuni ritratti di antichi frati dagli occhi ad un tempo vivi e modesti come i cavalli di razza del santo, ma umano cappuccino del Manzoni, padre Cristoforo.
Il lettore avvertirà forse, mentre divora queste agili pagine, il desiderio di sapere di più della vicenda cappuccina a Chiaravalle e, apprendiamo, negli «ospizi», veri piccoli conventi, di Soverato, Petrizzi, Olivadi, San Vito e dei molti e dotti frati di Cardinale. Ma possiamo rassicurarlo: padre Giuseppe è già tornato al lavoro per darci il piacere di altre e più vaste notizie sulla storia del convento, che è poi in gran parte la storia delle due valli dell’Ancinale e del Beltrame. E gli auguriamo ogni meritato successo.
Soverato, 20 gennaio 2000
Ulderico Nistico
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