a cura di Padre Giuseppe Sinopoli |
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LA CHIESA DEL SACRATISSIMO CUORE DI GESù
La ri-consacrazione e la nuova dedicazione
La Chiesa attuale, ad una navata - lunga metri 29.50, larga metri 9.80 e alta metri 10.70 - è stata ricostruita a cura del padre Bernardo da Petrizzi negli anni 1900-1904. La ri-consacrazione con la nuova dedicazione al Sacratissimo o Santissimo Cuore di Gesù Cristo ha avuto luogo il 26 luglio 1912. Il solenne rito è stato presieduto dal Vescovo di Squillace, Mons. Eugenio Tosi, eletto successivamente, Cardinale di Milano. Ne perpetuano il ricordo una pergamena olografa e l’apposita lapide marmorea.
La pergamena, a firma dell’illustre Presule, si conserva nell’ex archivio provinciale dei cappuccini di Catanzaro-Monte. In essa vi si puntualizza che:
a) la Chiesa non è più dedicata a San Francesco d’Assisi, ma al Santissimo Cuore di Gesù Cristo; b) l’altare maggiore custodisce le reliquie dei santi martiri Biagio e Sebastiano; c) il cristiano, che visita la Chiesa nella ricorrenza annuale della Consacrazione e adempie le condizioni di rito, può lucrare cinquecento giorni di indulgenza.
Ecco la trascrizione:
Anno Domini mcmxii die vero 27 Mensis julii Ego Eugenius Tosi Episcopus Squillacen. Consecravi Ecclesiam Et altare hoc, in honorem Sanctiss. Cordis Iesu Cristi Et Reliquias Sanctorum Martyrum Basii E. M. et Sebastiani In eo inclusi, et singulis Cristi Fidelibus hodie unum annum, et in die anniversario Consecrationis huius modi ipsam visitantibus, quinquaginta diei de vera Indulgentia, in forma Ecclesiae consueta, concessi. Claravallis Centralis 26 iulii 1912 + Eugenius Episcopus
La lapide marmorea, posta sulla parete destra, appena entrati, del sacro Edificio, dedicato al “Sacratissimo Cuore di Gesù”, evidenzia, invece, lo zelo del Padre Bernardo di Petrizzi, Provinciale dei Cappuccini, nel curarne la ricostruzione e la decorazione, e la “solenne cerimonia della consacrazione” del Vescovo di Squillace, mons. Eugenio Tosi. Essa porta la data della posa sulla parole ecclesiale, e cioè del 6 agosto 1912. Questo il testo memoriale:
D.O.M. Templum hoc Sacratiss. Corde Jesu nomine insignitum R. Bernardi a Petritio Capuccinorum Ministri Rheginen. Provinciae summo studio diuturna cura omni operum nitore condecoratum Eugenius Tosi Squillacen. Episcopus solemnibus coeremoniis consecravit VI kalend. Augusti MCMXII
L’antica Chiesetta
Le sole notizie che abbiamo al momento dell’antica chiesetta cappuccina - sorta contemporaneamente al Convento e costituente il lato sud dell’intero edificio - le ricaviamo dai ruderi esistenti e dal contratto di appalto per i lavori di ricostruzione e di ampliamento dell’attuale Chiesa del 4 Settembre 1889.
Soffermandoci alla voce «Demolizione della vecchia muratura», riportata al foglio 4 del progetto in oggetto, possiamo rilevare sia la tipologia strutturale dell’antico Tempio di Dio che il numero e le dimensioni dei due Altari esistenti, e cioé: quello Maggiore (metri 3.70 di lunghezza, 0.70 di larghezza e 2.00 di altezza) dedicato a San Francesco d’Assisi, titolare del medesimo; e quello del Crocifisso con accanto la Madre addolorata1 (metri 2.75 di lunghezza, 0.65 di larghezza e 2.00 di altezza)2.
La Chiesa, verosimilmente, era lunga 14.00 metri, larga 9.00 e alta 7.00; di forma diversa, essa si elevava, rispetto all’attuale, di mt 0.50.
La Sacrestia, attaccata al corpo Chiesa (lato sud-ovest-nord), accusava, invece, una lunghezza di metri 8.00, una larghezza di metri 9.00 e un’altezza di metri 7.60.
D’altra parte San Francesco ai suoi Frati aveva ordinato di non erigere o farsi erigere «grandi chiese, al fine di predicare al popolo o sotto altro pretesto. C’è maggiore umiltà e migliore esempio quando vanno a predicare in altre chiese, osservando la santa povertà e mantenendosi umili e rispettosi»3. Ed aveva anche precisato con estrema determinazione, nell’istruire i suoi Frati - trovandosi a Siena per la cura degli occhi -, di guardarsi «di non accettare assolutamente chiese, povere abitazioni e quanto altro viene costruito per loro, se non siano come si addice alla santa povertà, che abbiamo promesso nella Regola, sempre ospitandovi come forestieri e pellegrini»4.
Non poteva, perciò, questa Chiesa non testimoniare, nella sua linea e nei suoi contenuti - sul modello di quella della Porziuncola - lo spirito della santa povertà, della incantevole semplicità, della nobilissima umiltà e della ricca spiritualità, favorendo così una paradisiaca intimità familiare con Dio e con i fratelli.
Nulla sappiamo delle icone ivi presenti, nè se vi erano degli affreschi di un qualche valore artistico e, soprattutto spirituale. Noi crediamo di sì. Ce ne dà conferma il bellissimo affresco eucaristico disegnato sulla parte centrale della parete interna della Sacrestia, che si può ancora oggi ammirare salendo sull’attuale cupola, usando tutte le dovute precauzioni e non accessibile a tutti, dal sotto tetto.
I restauri dopo le calamità naturali
Come abbiamo già avuto modo di constatare, la Chiesa, pur godendo di una struttura più solida rispetto a quella del Convento, ha subito danni più o meno importanti, a secondo della violenza sismica o di quella della pioggia torrenziale, specie se accompagnata da vento impetuoso. In genere era il tetto ad essere più vulnerabile con il suo campanile.
I primi interventi furono effettuati dopo il terremoto del 6 Settembre del 1659, un «terremoto gagliardo con pioggia assai e lampi che disfece Chiaravalle»5, provocando ingenti danni al campanile e al tetto della Chiesa. Si dovette, pertanto, ricostruire il campanile, che si trovava in corrispondenza della navata centrale, dal lato sinistro entrando in Chiesa.
Altra ricostruzione si rese necessaria in seguito al terremoto dell’8 e dell’11 luglio 1670, intervenendo sul tetto e sulla struttura muraria.
Negli anni 1727-’28 vi furono, poi, «due annate di pioggia che spaventarono il mondo»6, intermezzate, nel maggio del 1728, da un terribile sisma, ripetutosi più volte, che caricò la popolazione di tanto spavento da indurla a celebrare processioni di mortificazione nel paese. I danni alla piccola Chiesa, anche questa volta, furono significativi e si dovette ricorrere all’opera dei muratori e dei falegnami per riparare nuovamente il tetto e consolidare il campanile.
«Il 1743, li 7 Dicembre - ci racconta il cronista cappuccino del tempo - fu terrimoto furiosissimo che rovinò l’Olivadi e fece danni in molti paesi. Il 1744 a 2 Febbraio e a 20 Marzo replicò più volte, e quì molti Palazzi, e Chiese quì, ... si acchiusero»7. Anche la nostra Chiesa fu danneggiata ma non irreparabilmente. E fatti gli opportuni interventi fu nuovamente aperta al culto tra la gioia dei Frati e l’ammirazione delle popolazioni chiaravallesi e dintorni.
Ugualmente avvenne per i terremoti del 1770, 1783, e del 1791. Costretti i Frati ad abbandonare il Sacro luogo a causa del Decreto napoleonico (1809) e concesso per qualche tempo dalle Autorità preposte alle Perpetue Adoratrici del Santissimo Sacramento e poi abbandonato a se stesso, si può immaginare lo stato in cui cadde. Piangeva il cuore anche alla gente vederlo giorno dopo giorno rovinarsi sempre di più. E così il 17 Maggio 1845 i Naturali di Chiaravalle fecero domanda al Ministero Real Segreteria di Stato degli Affari Ecclesiastici perché il Convento, la Chiesa e l’annesso orto tornassero ai Frati «pel bene spirituale del lor paese»8. Sua Maestà Ferdinando Secondo, accolse tale domanda e il 2 Marzo dell’anno successivo con Real Rescritto ordinò che il tutto si riconsegnasse al Ministro Provinciale dei Cappuccini, Padre Vitaliano da Filadelfia, facendogli obbligo, visto che il Comune non disponeva dei mezzi necessari per le opere di restauro, di realizzarle a proprie spese, «incominciando però dalla Chiesa in guisa che ivi si possono esercitare i Divini Uffizi al più presto possibile, attesi i bisogni spirituali di quella popolazione»9.
I Frati poterono così ritornare nella loro casa dopo quasi quarant’anni, restituendo in poco tempo la Chiesa alla vita liturgica, alla quale molto volentieri la gente accorreva per sedersi alla Mensa della Parola e del Pane Eucaristico, tornando, poi, alle loro case con animo pieno di santità e di giubilo.
Ma non trascorsero molti anni, quando un altro terremoto s’abbatté sul territorio, la cui ferocia divelse il piccolo campanile facendo rovinare a terra la campana, che si ruppe. Era il 1894. Ma i Frati non si perdettero d’animo e subito iniziarono i restauri; ricostruirono il campanile al solito luogo e vi collocarono una nuova campana10, dono di Giuseppe Santoro, un esimio benefattore dei Frati. E così gli argentei rintocchi della campana tornarono nuovamente a riecheggiare nella verde vallata, colmando di rinata gioia e speranza il cuore della gente .
La terra tornò nuovamente a tremare vigorosamente e ripetutamente e con essa anche la piccola Chiesa nel 1905, gettando nel panico i Frati e la popolazione, immersa nel sonno. L’orologio, infatti, segnava le due e quaranta minuti. Ma questa volta i danni, nonostante i buoni interventi effettuati nel 1894, furono più seri delle altre volte e nell’animo dei Frati incominciò a far capolino l’idea che forse era giunto il momento di cambiare strategia.
L’ampliamento e la ricostruzione degli anni 1900-1904
La Chiesa appariva ormai insufficiente ad accogliere la gente che veniva anche dai paesi vicini per assistere alle bellissime funzioni liturgiche. Intanto nel 1897 con decreto generalizio veniva eletto Ministro Provinciale il Padre Bernardo da Petrizzi, al secolo Tobia Cosentino. Il quale si dette subito da fare per raccogliere fondi per ampliare e ricostruire questo edificio, che tanto a cuore stava ai Frati ed alla gente dell’intero distretto conventuale.
Elaborato il progetto, il 4 Settembre 1898 veniva firmato - su disegno e consulenza del geometra Michele Cantafio - il contratto di appalto dal Padre Bernardo da Petrizzi e da La Sorte Carmelo «in forma privata da valere quale pubblico atto». Tale contratto poneva una serie di condizioni – sottoscritte anche dai testimoni Giovanni Catambrone, in qualità di garante, Salvatore Sajia di Giuseppe e sacerdote Fera Vincenzo fu Cicala11 - che la Ditta doveva seguire alla lettera, alcune delle quali ci offrono elementi storici di grande rilievo. Come, per esempio, quelle contenute negli articoli 12, 14 e 20, che recitavano testualmente:
12. La pietra da impiegarvi per la nuova costruzione sarà quella ricavata dalla vecchia muratura12 e verrà collocata in opera con sufficiente quantità di malta da essere da questa ben avviluppata. 14. Si faculta l’impresa di usare la sabbia della cava esistente nell’orto del convento per la muratura ordinaria, impiegandovi sabbia della contrada Gozzino per gli intonachi. 20. Si fa obbligo all’impresa di fare uso dei laterizi13 acquistati dal convento, come pure della calce, essendo materiale conosciuto di buona qualità.
Alla luce di questi articoli si evincono due cose importanti: - la composizione muraria, fatta di calce e pietra; - la sottolineatura non solo del senso del sacro riguardo alle pietre dell’antico edificio e del discorso di continuità tra il vecchio e il nuovo, ma anche dell’attenzione alla povertà, voluta da San Francesco, senza tuttavia pregiudicare la qualità dei lavori che doveva comunque esprimere rigorosa regola d’arte. Di ciò troviamo conferma negli articoli 13, 15, 16, 17 e 18 del medesimo contratto in oggetto14.
Il progetto prevedeva l’allungamento dell’antica Chiesetta ad ovest conglobando la vecchia Sacrestia e ad est parte dello spazio antistante. Il piano di calpestio venne abbassato di circa mezzo metro, mentre il muro perimetrale venne sopraelevato di circa tre metri. Da ciò risulta evidente che la nuova Chiesa è stata modellata ispirandosi all’antica Chiesetta, arricchendola e venandola di nuovi accorgimenti tecnico-artistici, configurati nei pilastri e negli archi addossati ai muri laterali nord-sud; nel muro ricurvo adiacente, sul lato ovest, al retrospetto e terminante con mezza cupola fino all’arco maggiore, costruito con pietre e figulini; e nella stupenda volta a sesto intero in mattoni e figulini.
L’altare maggiore, sormontato da un’artistica statua del Sacro Cuore in cartapesta, venne rivestito tutto in cemento, come pure il piano ed i gradini del Sancta sanctorum. Ci risulta che l’altare era ricco di decorazioni, ma purtroppo non disponiamo di alcuno documento illustrativo né riguardo al soggetto, né riguardo all’estensione. Nella nicchia di sinistra, guardando l’altare, vi era la statua di Sant’Elisabetta e a destra il quadro di San Ludovico, Patroni dell’Ordine Francescano Secolare.
A sinistra di chi entrava in Chiesa vi erano due altari: quelli di Sant’Anna e di San Francesco d’Assisi e, a seguire, il bellissimo Gesù Bambino in legno - scolpito a cavallo tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo e restaurato nell’Ottobre del 1995 dall’artista Letizia Maida da Chiaravalle Centrale, prematuramente scomparsa -, e la Cappella di San Raffaele15 con le statue di San Rocco e di San Gerardo Maiella. A destra, invece, gli Altari del SS. Crocifisso, di S. Antonio di Padova, della Madonna del Carmelo e di S. Chiara.
All’ingresso quattro colonne a sostegno dell’intelaiatura sulla quale poggia il pavimento del Coro in legno di abete. Gli scanni e gli inginocchiatoi sono in legno di noce.
Nel 1902 i lavori vennero interrotti per un contenzioso sorto tra il titolare della Ditta La Sorte ed il Padre Bernardo da Petrizzi, il quale fu citato in tribunale perché non intendeva corrispondere al signor la Sorte la somma di lire 3.918,41 per forniture, materiali e lavori realizzati per conto del Convento.
Condannato al pagamento e rescisso il contratto di appalto con il La Sorte, il Padre Bernardo stipulò un nuovo contratto con i maestri muratori Bruno Catricalà, Antonio Moniaci, Saverio Catericalà fu Gregorio, Francesco Selvaggi fu Giovanni e Vitaliano Gullì fu Michele per il completamento dei lavori, consistenti nell’intonaco liscio ai muri interni, al soffitto e alle volte, con relative decorazioni e cornici. Anche la Cappella di San Raffaele Arcangelo venne finemente decorata, con un bel rosone al centro della volta.
Maestoso nel suo splendore artistico il pulpito con il baldacchino finemente lavorato, in legno, opera del noto ebanista Giuseppe Sestito da Chiaravalle Centrale, e collocato al centro della parete destra della Chiesa nell’ottobre del 190416.
Il campanile sorretto da due pilastri di altezza appena superiore alla quinta della Chiesa, a sinistra per chi guardava, completò l’opera, conferendo un ulteriore tocco di semplicità e funzionalità.
I restauri degli anni quaranta
Ma col passar del tempo il sopraggiungere di qualche altro sisma, come quello del 28 Dicembre del 1908, e, soprattutto, l’imperversare di frequenti temporali, generalmente accompagnati da lunghe e potenti raffiche di vento - intercalati da qualche devastante alluvione, come quello di Maggio del 1913, che «fece cadere il muro che sosteneva la piccola piazzetta davanti la Chiesa e parte della clausura rasente la strada che va al paese» (come annota il cronista) - incominciarono a corrodere la stabilità della Chiesa, offuscandone lo splendore. Infatti, anche in questa circostanza, «fu accomodato il tetto del convento e ancora quello della Chiesa, per le quali spese si ebbe dal Generale, a mezzo del Sig. Domenico Sestito, £. 800».
Nel 1926 il Padre Benedetto da Cannitello, chiamato dai Superiori Maggiori alla guida della Fraternità Cappuccina chiaravallese, dopo essersi recato per le strade cittadine e in quelle dei paesi vicini, chiedendo un piccolo obolo ad ogni famiglia, procedette al rifacimento radicale del Calvario, il cui disegno strutturale è quello che vediamo ai nostri giorni, salvo la chiusura dei due archi di destra, dovuta alla creazione del refettorio dei poveri, che quotidianamente bussavano alla porta del Convento per un pezzo di pane e un piatto di minestra calda. I tre pannelli, riproducenti i momenti dell’orazione di Gesù nell’orto degli ulivi; di Cristo in croce con ai suoi piedi la Madre addolorata ed il discepolo prediletto Giovanni; e della sepoltura, furono dipinti su lastre di zinco dall’artista Menichini di Serra San Bruno17.
Dal 1940 al 1944, il Guardiano, Padre Mariano Stilo da Fiumara di Muro, osservando il miserevole stato in cui versava la struttura della Chiesa, specie il tetto, si prodigò - coadiuvato da alcuni confratelli e da “ottimi cittadini”18 - a ripararla, abbellendo e decorando la volta, e restaurando, in parte modificandolo, il prospetto della facciata principale, su progetto elaborato dall’ing. D. Staglianò da Chiaravalle Centrale.
I primi interventi sono stati diretti alla copertura per poi rivolgersi al prospetto, già imponente per la posizione e la semplicità delle linee architettoniche, a scopo di consolidamento e arricchimento estetico19.
Veramente stupendi i motivi che ornano, con eleganza e sobrietà, l’intera facciata in stile gotico con lo splendido rosone e le quattro finestre, di cui due cieche, tutte ogivali, sorrette da due colonnine cadauna a ridosso di un artistico davanzale accennato.
Meravigliosa la cornice, anch’essa ogivale, del portone d’ingresso, resa ancora più incantevole dallo stemma, scelto dal padre San Francesco d’Assisi per la sua famiglia religiosa, posto nella parte superiore.
L’interno è stato reso più affascinante con pregiate decorazioni. Decisamente bella la Via Crucis in bassorilievo colorato, con due candele elettriche laterali.
L’Altare Maggiore, unitamente a quelli laterali, è stato rivestito di selezionati marmi policromi, composti in armoniche figure geometriche, e reso ancora più bello con la nuova statua del Sacro Cuore, opera del cavaliere Guacci di Lecce20.
Dominava il tutto, l’abside con al centro la gloria di Cristo Re, assiso sul trono, tra i Venerabili Padri Gesualdo Malacrinò da Reggio calabria e Antonio da Olivadi; ed ai lati gli artistici affreschi: a sinistra, guardando l’Altare, la cena di Emmaus e, a destra, la risurrezione della figlia di Giairo. Quest’ultimo un autentico capolavoro, a firma del pittore Gallo Tommaso Cantafio da Maida. Un’illuminazione riflessa e morbida, eseguita con maestria dal Padre Leone d’Ardore, conferiva al complesso un’atmosfera intensamente ieratica.
Il popolo rimase incantato di fronte a tanta straordinaria bellezza. Ecco come il cronista l’ha consegnata alla storia, in occasione dell’inaugurazione fatta coincidere con le solenni celebrazioni in onore del Poverello d’Assisi, il 4 Ottobre del 1942: «L’Altare si presentava sobriamente e finemente addobbato, nella sua rinata bellezza. Alle 8 aveva inizio la santa Messa: due cori di padri e studenti del corso teologico, sotto la direzione del prof. Froio, eseguivano la messa terza di Haller sotenuti dai violini. Al termine del sacro rito il Rev. Padre Giocondo da Cropani con parola vibrante invitava i fedeli nella ringiovanita maestà del Sacro Tempio, commemorandovi l’ombra amorosa del Serafico Padre S. Francesco, del ven. Padre Gesualdo, di quanti avevano cooperato all’opera.
Alla sera la Schola Canthorum eseguiva nuovamente in poderosi cori, e dopo la funzione del beato transito la festa aveva un degno coronamento nella parola agile e squisita del molto Rev. Padre Remigio da Cropani. Il tema veniva svolto su S. Francesco Lux Italiae: in esso l’oratore magistralmente illustrò come veramente questo Uomo mirabile fu uno dei più grandi luminari della Patria nostra20.
Tutte le autorità cittadine e un imponente numero di fedeli intervennero alla solenne cerimonia»21.
Ma i restauri non erano ancora terminati. Infatti, al posto dell’Altare di San Raffaele Arcangelo nel 1943 venne creata l’attuale grotta della Madonna di Lourdes, opera del Cantafio e a devozione del Dott. Mario Ceravolo.
Commovente l’accoglienza riservata dalle popolazioni chiaravallesi e dintorni all’arrivo delle due statue della Madonna e di Bernardetta Soubirous.
L’inaugurazione della Grotta di Lourdes si fece con un imponente Congresso Mariano, il primo nella storia di Chiaravalle Centrale, di cui conserviamo anche il ricordino allestito all’epoca. Organizzato dal Padre Mariano Stilo da Fiumara, dal Dott. Mario Ceravolo e dal Rag. Giuseppe Maellare, coadiuvati da tutti i Frati e da ben due Comitati22, si tenne dal 21 al 28 Maggio del 1944. Vi parteciparono 24 oratori, che hanno con sapienza e semplicità sviscerato ai numerosissimi pellegrini, intervenuti da venti tra paesi e città, temi di Mariologia nelle varie espressioni storiche, dogmatiche, mistiche, scientifiche, letterarie e sociali, dando luogo, al termine di ogni conferenza, a coinvolgenti e proficui dialoghi.
Il Congresso venne concluso con un solenne Pontificale in Piazza Dante dal Vescovo di Squillace, Mons. Giovanni Fiorentini, il quale per l’occasione aveva composto la seguente bellissima preghiera, concedendo 200 giorni a chi l’avrebbe recitata con devozione e abbandono filiale:
In ogni tempo, Celeste Regina, quanti a Te ricorrono sono consolati, sanati, mondati nella mente e nel cuore. Chi con contrito cuor filiale invoca Te, è salvo; chi chiama Te è con Gesù tuo Divin Figliolo; chi soffre e lavora per Te è un’anima eletta. Con la semplice recita d’una Ave, hai strappato i peccatori dagli artigli dell’Averno; hai ridato la vita ai moribondi; la vista ai ciechi. La tua generosità non ha limiti, sei la vera Madre di Misericordia. In tutto l’Orbe non s’invoca, non si nomina che Te, Madre Potentissima, e, col Tuo bel nome sulle labbra, si vorrebbe tutti esalare l’ultimo respiro. Una grave angoscia in quest’istante mi pervade, e, poiché sono Tuo figlio, prostrato ai Tuoi piedi, invoco il Tuo potente patrocinio, perché mi venga concessa la grazia che imploro: «si esponga la grazia» Concedimi questa grazia, Madonna bella e pura, e Ti prometto che ogni pensiero e ogni palpito del mio cuore, d’ora in avanti, saran dedicati a Te, pel trionfo della Santa Chiesa, per riparare i peccati altrui, perché il Tuo Divin Figliolo vinca, regni e trionfi su tutto e su tutti. Così Sia. Tre Ave Maria.
A conclusione del Congresso, vennero decisi e verbalizzati, al fine di mantenere viva negli anni avvenire la fiamma accesa, tre iniziative, e cioé: - ripetere ogni anno i pellegrinaggi; - porre un freno in cima al campanile a ricordo dell’avvenimento celebrato; - organizzare nell’annuale ricorrenza una funzione per testimoniare alla Madonna la fedeltà del popolo.
Il nuovo campanile
Da una foto dell’epoca del 1944 si vede il campanile sistemato sulla terrazzina del parlatorio (lato nord-est del Convento), a destra della Chiesa. Era senza dubbio una struttura più solida, anche se meno funzionale per la sua posizione più bassa di quella precedente, come si può osservare nel particolare fotografico circoscritto dall’ellisse.
Il nuovo campanile, che svetta imponente nel cielo, sorge sulla medesima area di quello precedente, cioè al lato destro della Chiesa. Esso, ispirato ai motivi gotici della facciata della Chiesa, venne disegnato dal maestro Domenico Salerno da Chiaravalle Centrale, e messo in opera, negli anni 1952-’53, dall’impresa Concolino da Gagliano, quando era Guardiano il Padre Giustino Papa da San Fele.
Durante l’esecuzione dei lavori, la struttura, in seguito ad un paio di crolli, venne ancorata ad un dado di cemento armato profondo tre metri, nel quale furono radicate le quattro colonne portanti al termine delle quali si ergono quattro piccole guglie che, a loro volta, accompagnano, nei quattro metri e mezzo finali, la stupenda piramide alla cui sommità poggia una sfera del diametro di circa 60 cm, avvolta da quattro foglie di acanto elaborate anch’esse in stile gotico. Nella sfera venne piantata la Croce in ferro battuto alta un metro e mezzo.
A dare slancio e solennità al campanile sono i finestroni ogivali, che intermezzano la muratura in mattoni rossi. Interessanti i motivi ornamentali delle guglie disegnati dall’artista Giuseppe Tiso da Venezia.
L’opera, patrocinata dall’Amministrazione Provinciale, dietro interessamento dell’On. Ernesto Pucci, al tempo Consigliere Provinciale, venne seguita, in rappresentanza di essa, dal Capocantoniere Vito Spanò da San Vito sullo Jonio. Diedero il loro generoso contributo anche Saverio Froio, Giuseppe Garieri, Antonio Scolieri, Agostino Nocita, Luigi Nocita, Vincenzo Sestito, Mario Fera, Bradamante Sestito e Giuseppe Rizzo.
Le nuove statue di s. Antonio e di s. Francesco
Nel 1961, grazie anche ai coniugi Giuseppe e Franceschina Rauti di Chiaravalle Centrale - guardiano padre Eugenio Barbieri - è stato acquistata una nuova statua di sant’Antonio di Padova, in legno pregiato, dal volto dolce ed accogliente, opera dello scultore Ferdinando Perathoner di Ortisei. Ha sostituito quella in cartapesta dell’inizio del secolo.
La devozione verso il santo dei miracoli è stata sempre viva anche nel cuore dei fedeli, per cui l’arrivo della nuova statua ha fatto confluire oltre a tutti i chiaravallesi, moltissima gente dai paesi limitrofi. Gente che ancora oggi continua a frequentare con grande devozione i martedì di sant’Antonio - dall’anno 1996 consacrati, essendo Rettore della Chiesa il Padre Giuseppe Sinopoli, come giorni di carità ai poveri - e, soprattutto, la Tredicina.
Tre anni dopo - essendo Guardiano padre Alessandro Nardi - anche la vecchia statua di san Francesco d’Assisi, formata pure essa in cartapesta, veniva sostituita con una nuova in legno pregiato. Per l’occasione è stato approntato un nutrito e grandioso programma, che prese l’avvio dalla Cappella di Spasari (Pirivoglia) con l’accoglienza della statua e la sua benedizione da parte dell’Arciprete, presenti i frati, le autorità, le aggregazioni laicali e numerosi fedeli. Si era nelle ore pomeridiane del 1° ottobre 1964.
Dopo essere stata portata in solenne processione alla Chiesetta dell’Addolorata in contrada «Pilati», sopra un camion addobbato con tanti fiori ed un arco di luci, la statua giunse alla Chiesa dei cappuccini accolta dalla folla di pellegrini con il seguente canto:
O san Francescu tu ‘ccà sì venutu e nui divoti T’avimu accettatu. E la curuna chi Vui portati sugnu li grazi chi a nui dunati. Supa sta terra ‘ndi vinni nu santu ndi l’ha mandatu lu Spiritu santu. Ed è chinu di grazi divini: san Francescu lu Zerafinu.
Tutto questo avveniva in occasione del XXV anniversario della proclamazione di san Francesco d’Assisi a Patrono d’Italia.
I restauri degli anni sessanta
Nel frattempo altre alluvioni si erano abbattute su questa casa di Dio. Sebbene avessi appena dieci anni, ricordo benissimo l’alluvione del novembre del 1957. Aveva piovuto per tre giorni a dirotto con smottamento di frane e straripamenti di fiumi. Ho ancora negli occhi i vigili del fuoco e tanta brava gente indaffarati giorno e notte a prosciugare seminterrati, negozi e stalle dal fango. E le persone costrette a lasciare le loro case, già precarie, rese inabitabili. Il cielo appariva come un’immensa calotta nera, dove per tantissime ore lo sguardo umano s’infrangeva, sperando che un lampo di luce la squarciasse e apparisse nuovamente il sole della speranza. Mentre le fatiche del contadino erano state seppellite dalla violenza di quell’acqua spietata. Alla conta i danni erano stati incalcolabili e nelle case per qualche anno i disagi fecero da padroni. Solo la voglia di rinascere, tipica del popolo calabrese, era riuscita a far tornare piano piano la serenità e con essa la normalità.
Questo, ovviamente, aveva ulteriormente incrementato l’emigrazione verso il nord Italia-Europa e verso le Americhe.
Anche il Convento e l’annessa Chiesa dei Frati di Chiaravalle Centrale avevano subito danni di rilievo, puntualmente riparati.
Nel novembre 1964 si trovò di passaggio lo scultore Prof. Giovanni Marino. I Frati pensarono di fargli restaurare le statue della Madonna di Lourdes, della Madonna del Carmine e di Sant’Anna.
Due anni dopo, ed esattamente il 2 Settembre del 1966, si diede il via pure ai lavori di restauro della Chiesa, dando priorità alla decorazione, poi alla zoccolatura ed infine alla pavimentazione.
La decorazione fu commissionata al pittore Nik Spatari. Gli antichi affreschi absidali del Cantafio - ritraenti, al centro, la gloria di Cristo Re con ai lati il Ven. P. Gesualdo da Reggio Calabria e il Ven. P. Antonio da Olivadi; a sinistra, la Cena di Emmaus; e, a destra, la guarigione della figlia di Giairo - furono coperti (si spera!), rispettivamente, dal Cristo Buon Pastore con ai lati i medesimi Venerabili; a sinistra, dai simboli degli evangelisti Marco (leone) e Luca (toro o bue); e, a destra, da quelli di Giovanni (aquila) e Matteo (aspetto d’uomo)23. Inoltre, Nik Spatari ha ornato di raffigurazioni simboliche anche le volte dei finestroni.
Per la festa di San Francesco d’Assisi dell’anno 1967 i fratelli Maellare, in memoria del loro compianto genitore Giuseppe, offrirono gli affreschi delle pareti sovrastanti l’Altare omonimo, che lo Spatari animò con immagini e scritte tratte dal Cantico delle Creature. Queste sostituirono quelle del Cantafio, aventi per soggetto, dal lato sinistro di chi guarda, San Francesco con Ludovico Re di Francia, che, inginocchiato, contemplava nella gloria il Cristo che si rivelava al Poverello d’Assisi; e dal lato destro, il Santo all’Averna nel momento in cui veniva trafitto con le stimmate di Cristo.
Alle pareti sovrastanti l’Altare di Sant’Antonio di Padova, il pittore, invece, volle rappresentare l’episodio del miracolo della mula in Rimini.
Ambedue le realizzazioni furono effettuate sugli affreschi esistenti, dei quali ignoriamo i contenuti. Sono chiaramente visibili quelli degli Altari di Sant’Anna e di Sant’Elisabetta, raffiguranti due bellissimi angeli, a figura intera ed in atteggiamento contemplativo.
Quindi, si procedette, su interessamento del Comm. Carmelo Ceravolo, alla rimozione dei marmi dei gradini dell’Altare Maggiore, al rimodernamento del piano del Sancta Sanctorum con marmette grezze squadrate in pernicea policroma e dell’intera Chiesa con perlato di marmo; e alla sostituzione della zoccolatura in curva concava realizzata in semplice muratura e marmi in giallo di Siena lucidati, costituiti da elementi piani e da elementi sagomati, negli spessori necessari per ottenere la curva rispettando la profondità visibile eguale alla zoccolatura nelle parti rette.
Anche la zoccolatura retta delle pareti del resto del corpo della Chiesa fu concepita in giallo di Siena lucidati, in elementi piani ed elementi sagomati, per un insieme molto bello.
Eliminando le pedane dagli altari laterali, la navata ha acquistato più snellezza e la Chiesa dà sensazione di maggiore ampiezza.
Nel Presbiterio venne innalzato - in linea con i canoni e le disposizioni della riforma liturgica del Concilio Vaticano II24 - un nuovo Altare, rivolto al popolo, donato dalla famiglia Pucci. La mensa poggia su un albero di ulivo, all’ombra del quale Gesù prega prostrato su un grande masso, riproducente in tal modo la commovente la scena di Gesù orante nell’orto degli ulivi. E allo scopo di «costituire il centro verso il quale spontaneamente converga l’attenzione di tutta l’Assemblea»25, venne tolta la balaustra, realizzata con colonnine in marmo raccordate da un’unica lastra marmorea poggiante sui capitelli, ed il cancelletto finemente lavorato in ghisa. Adiacenti ai due pilastri, furono collocati due amboni in marmi colorati pregiati, disposti «in modo tale che i ministri possano essere comodamente visti e ascoltati dai fedeli»26. L’intera opera venne eseguita dal Prof. Ruggero Pergola da Pietrasanta. Il 20 Agosto del 1969 veniva ultimata la pitturazione dell’edificio sacro, resa ulteriormente bella dalla rimessa a nuovo dell’Altare del Crocifisso - opera realizzata da Giuseppe Rizzo l’11 Novembre 1925 - che la devozione del popolo ha voluto conservare secondo i canoni della povertà francescana, e cioè in semplice legno di abete.
A completamento dell’opera - su commissione del Guardiano, Padre Camillo Plataroti da Taurianova - il 25 Novembre del 1973 veniva sostituito l’antico portone d’ingresso con uno nuovo in legno pregiato, disegnato dall’architetto Giuseppe Zanini da Soverato e realizzato dal maestro Galati da Vallelonga. I sei pannelli decorativi che l’ornano ben s’incastonano nel complesso della facciata, rendendola più monumentale.
I restauri di fine secolo XX e inizio secolo XXI (in preparazione)
NOTE 1 La Statua dell’Addolorata non esiste più, nè si sa dove sia andata a finire. 2 Tra le famiglie religiose che hanno sempre manifestato un singolarissimo affetto verso la Passione del Cristo Crocifisso e della Vergine Addolorata vi si annoveravano anche i Frati Cappuccini, cercando di promuoverne la devozione e il culto fra i popoli in ogni occasione di annuncio della Parola di Dio: Quarantore, esercizi spirituali, tredicine, novene, tridui, ritiri, quaresima, avvento, mese mariano, mese di giugno dedicato al Cuore di Gesù, missioni al popolo... Per cui il Padre Bernardo da Petrizzi non se l’è sentita di «demolire», assieme alla vecchia muratura, anche questa così significativa testimonianza cristiana. 3 BIBLIOTECA FRANCESCANA DI MILANO (a cura), Fonti Francescane (=FF), Padova 19823, n. 1516. 4 BIBLIOTECA FRANCESCANA DI MILANO (a cura), Fonti Francescane..., n. 122. 5 Manuale cronistorico dei cappuccini di Catanzaro..., f. 121. 6 Manuale cronistorico dei cappuccini di Catanzaro..., f. 122. 7 Manuale cronistorico dei cappuccini di Catanzaro..., f. 121. 8 Dalla Lettera invita dal Ministro Segretario di Stato degli Affari Ecclesiastici a Mons. Vescovo di Squillace in data 17 Maggio 1845. 9 Dalla Lettera scritta dal Principe di Stabia al P. Provinciale dei Cappuccini della 1a e 2a Calabria Ulteriore in data 7 Marzo 1846. 10 Sulla campana si legge la seguente scritta: «Anno salutis - Giuseppe Santoro - Fonditore Di Callipo - 1894». 11 Il contratto è stato registrato all’Ufficio di Registro di Chiaravalle Centrale l’8 ottobre del 1901 al n. 73 del Modulo 2°, volume 20, foglio 89, pagando esatto lire novantuno e venti centesimi. 12 Dalla demolizione della vecchia muratura della Chiesetta sono stati ricavati 250 metri cubi di pietra e 6 metri cubi della gradinata. 13 Il convento ha fornito all’impresa 9.000 mattoni e 40.000 figulini che sono stati utilizzati per la costruzione degli archi, della volta e della cupola absidale. 14 Art.13. I componenti di tutta la malta saranno delle seguenti proporzioni: calce spenta di Chiaravalle parti una, sabbia di cava parti due. Detti componenti saranno bene mescolati con la necessaria quantità di acqua in modo da formare una massa omogenea; art. 15. Tutti i pezzi per gradini ed altro che dovrebbero costruirvi in granito si faculta l’impresa sostituirli in pietra concia artificiale, impiegando per la costruzione cemento di prima qualità; art. 16. Le centine che dovranno essere a carico dell’impresa saranno costruite in modo da resistere sotto il peso del muramento superiore; art. 17. I muri e tutte le opere da intonacarsi dovranno prima essere rinzaffati con malta ordinaria bene sciolta, al rinzaffo seguirà lo spiano e poscia l’intonaco per dove è progettato, e pel quale s’impiegherà sabbia speciale della contrada Cozzino, componento la malta ¾ di calce, ¼ di sabbia; art. 18. I battuti di cemento saranno eseguiti con materiale di 1^ qualità e da persone dell’arte. 15 Il 25 giugno del 1901 è stato sottoscritto il seguente documento tra la sig.ra D. Isabella Ceravolo e i padri Cappuccini, Provinciale in testa: «Essendo in costruzione la Chiesa di questo nostro convento dei Cappuccini, la Sig.ra D. Isabella Ceravolo di qui stesso, desiderando di erigere una Cappella, e dedicarla a S. Raffaele Arcangelo, onde in ogni anno in perpetuo ai 24 Ottobre, in suo onore si cantasse la Messa, e fattane domanda, Noi, qui sottoscritti, volendo secondare la sua santa intenzione, siamo divenuti a cedere la Cappella in parola già costruita in perpetuo, ed ogni anno ci obblighiamo far precedere un Triduo di preghiere, celebrando poi nel suddetto giorno la Messa cantata, giusta la sua intenzione. La Cappella suddetta però resta di esclusiva proprietà del convento, senza che né dessa, né i suoi eredi avanzassero alcun diritto. Per tale spontanea cessione, la Sig.ra Ceravolo suddetta dona l’elemosina di lire 700, restando a noi l’obbligo di fare la statuetta sulla somma istessa. Così convenuti abbiamo sottoscritto il presente: Fr. Bernardo da Petrizzi, Provinciale Cappuccino; Fr. Luigi da Cardinale, Guardiano Cappuccino; Fr. Daneile M. da Cardinale, Cappuccino; Fr. Eugenio da Caulonia, Cappuccino; Fr. Modesto-Concetto da Chiaravalle, Cappuccino; Isabella Ceravolo». 16 Agli operai che l’hanno trasportato dalla bottega alla Chiesa sono stati offerti 4 litri di vino. 17 Oggi le tre scene, dietro interessamento del Padre Benigno Giuseppe Morabito da Vito, disegnate su porcellana dall’artista Mario Calveri nel 1987, sono animate dalla Crocifissione, da Cristo innalzato sulla croce e dalla sua sepoltura nel sepolcro, scavato nella pietra. 18 Cronaca dei vari Conventi - Da Chiaravalle, I restauri del Tempio in “Ven. padre Gesualdo - Bollettino Francescano dei Minori Cappuccini di Calabria” XX (1942) 124. 19 Cfr. REMIGIO A. LE PERA, O beata solitudo, Chiaravalle Centrale in “L’Italia Francescana” 24 (1949) 293. 20 Scrive il cronista del tempo: «Il 19 u.s. (dicembre) si portò in processione, dall’Istituto Immacolatine alla nostra Chiesa, la nuova statua del s. Cuore di Gesù, opera d’arte del Cav. Guacci di Lecce. Vi fu una grande manifestazione di fede. Un numero straordinario di Terziarie e di popolo, cantando inni e recitando devotamente il s. Rosario. Giunti in Chiesa, gremita di fedeli, mentre si celebrava la santa Messa, il M. R. P. Commissario rivolse agli innumerevoli devoti fervide e belle parole di circostanza. Esortò l’uditorio a corrispondere unanime e fedele all’amore di quel Cuore che ha tanto amato gli uomini, versando sempre fidente in quell’asilo di pace e di sicurezza i propri affanni, i propri bisogni» (“Ven. padre Gesualdo - Bollettino Francescano dei Minori Cappuccini di Calabria” XVIII (1940) 15). 20 REMIGIO DA CROPANI, Lux Italiae. S. Francesco d’Assisi, Catanzaro 1941, pp. 9.25. 22 L’Ordine Francescano Secolare (Ofs), alias T.O.F., ha offerto “per la felice riuscita del Congresso Mariano” lire 300 (cfr. Verbale Adunanza Discretorio, n. 75, Chiaravalle Centrale del 18 maggio 1944. 23 I quattro simboli degli evangelisti si fanno risalire a Gerolamo o ad Ireneo e riflettono il contenuto dei rispettivi vangeli. Matteo introduce il suo vangelo raccontando del Signore: ed ecco, come simbolo, l’aspetto d’uomo. Marco comincia con la figura del Battista, che annuncia l’imminente venuta del messia e invita con toni forti alla conversione: da qui, l’attribuzione del simbolo del leone. A Luca vengono attribuiti due simboli: quello del bue in allusione al sacrificio di Zaccaria; e quello del toro segno della fecondità della moglie di Zaccaria. Il simbolo dell’aquila accompagna Giovanni per significare la sua parola elevata. Ma c’è chi ha percepito in queste figure allusioni: all’incarnazione, aspetto d’uomo; alla morte sacrificale, bue; alla risurrezione, leone; e all’ascensione di Cristo crocifisso e risorto, aquila (Cfr. MANFRED LURKER, Dizionario delle immagini e dei simboli biblici, (ed. italiana a cura di GIANFRANCO RAVASI), Cinisello Balsamo 1990, p. 79. 24 Cfr. CONCICLIO VATICANO II, Sacrosanctum Concilium, Costituzione su la Sacra Liturgia, Roma 4 dicembre 1963, n. 128; ANTONIO DONGHI (a cura), I Praenotanda dei nuovi Libri Liturgici, Milano 19912, pp. 183-184; ANTONIO MISTRORIGO, Dizionario liturgico-pastorale, Padova 1977, pp. 78-79. 25 SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Instructio Inter oecumenici ad exsecutionem Constitutionis de sacra Liturgia recte ordinandam, 26 septembris 1964: AAS 56 (1964) 877-900; cfr. pure MATIAS AUGE’, Liturgia storia celebrazione teologia spiritualità, Cinisello Balsamo 1992, p. 79. 26 ANTONIO DONGHI (a cura), I Praenotanda..., p. 185; cfr. pure ANTONIO MISTRORIGO, Guida alfabetica alla liturgia, Casale Monferrato 1997, p. 35.
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